di Lorenzo Loris
dall’omonimo racconto di Pier Vittorio Tondelli
con Mario Sala
regia di Lorenzo Loris
29 novembre 2017 – ore 20.00
Pac Padiglione d’Arte Contemporanea
via Palestro, 14 – Milano
all’interno della mostra Io, Luca Vitone
Con Autobahn Stanze apre forse una nuova prospettiva alla sua ricerca sul rapporto tra creazione e collocazione ambientale. Questa volta infatti – e chissà che non possa accadere di nuovo in futuro – ad accogliere la performance teatrale non sarà un semplice spazio fisico o luogo d’uso concreto, ma un’autonoma installazione artistica che ad essa pertiene e si adatta, come attesta d’altronde la piena adesione dell’autore di quest’ultima.
La “scenografia” dell’azione, ispirata a una scrittura prettamente contemporanea sul tema del viaggio sia materiale che interiore, è infatti costituita da un’opera altrettanto contemporanea non a caso intitolata Ultimo viaggio di Luca Vitone allestita all’interno della personale a lui dedicata dal Pac: un’iperrealistica carrozzeria d’auto in panne metaforicamente abbandonata
nelle sabbie del deserto.
Autobahn è il racconto di un viaggio, un viaggio disperato e bizzarro con il quale si vorrebbe mettere alle strette un’insorgente depressione grazie a un mutamento di prospettiva nell’orizzonte geografico. Complice la massiccia assunzione di alcol che modifica i confini interiori ancora prima di quelli fisici, il protagonista orienta la sua ronzante Cinquecento dalla pianura emiliana verso il grande Nord, infilando nel mezzo quella specie di autostrada dei miracoli che è la Modena-Brennero, “l’autostrada più bella che ci sta”: un unico, ininterrotto tragitto dalle terre del Parmigiano Reggiano fino alle gelide onde del Mare del Nord per lasciarsi alle spalle il grigio della pianura e gli spettri dei concittadini, un fatato rullo d’asfalto con tanto di proscenio di ferri luccicanti al casello d’ingresso per spiccare il volo e lanciarsi verso un agognato altrove, una frontiera, un limite da scavalcare, il piede pigiato sulla tavoletta dell’acceleratore come un pedale di batteria. Così i pensieri, le illusioni e i desideri si liberano nella notte tiepida impennandosi all’indiavolato ritmo dei pistoni, portandosi via tristezze e scoramenti nella fisicità liberatoria della guida. E anche le situazioni più disperate si stemperano nell’ironia, l’infelicità si lascia scappottare come il tetto della Cinquecento sprigionando dal suo nocciolo nero la pulsione vitale di una comicità che diventa insperata salvezza.
Finché c’è un goccio di benzina, finché c’è un goccio d’alcol.
Note di regia
Il racconto di questo anomalo viaggio vissuto da un uomo costretto a evadere dalla condizione di vita alienata che lo circonda è probabilmente tutto vissuto attraverso la sua mente “malata”. Il protagonista, con grande tenerezza e sensitività profonda, ci conduce per mano nei meandri del suo disagio esistenziale e ci cattura come in un sogno. Il percorso della nota autostrada italo-tedesca che collega il sud al nord dell’Europa, viene trasformato dalla sua mente con straordinaria forza visionaria e diventa così magico. Forse quell’uomo non si muove e non si muoverà mai dal suo mondo concluso, forse il suo bagno nella follia tra comico e disperato, tra logica e delirio, che acquista verità man mano che si inoltra nell’assurdo con un crescendo emozionante, avviene di fatto solo entro le mura circoscritte di un luogo chiuso. La sua benzina è l’immaginazione. E magari la gioia che prova scorrazzando per l’autostrada sulla sua ronzinante Cinquecento lanciato verso l’avventura, scavando nel profondo del quotidiano affondato in un tempo sospeso, dove la realtà sembra trascolorare verso il buio della notte, alla fine non è altro che la manifestazione stridente di un suo ultimo viaggio, estremo e pacificatorio. Un ultimo viaggio, appunto, proprio come il titolo dell’opera di Luca Vitone al cui interno si è creata l’inedita e davvero felice opportunità di articolare e mettere in scena il percorso del viaggiatore di Tondelli. Un’auto in panne sulla sabbia e, tutt’attorno, sparse tracce di un lontano viaggio affondato nell’arsura del deserto iraniano che restituisce alle immagini della memoria quel traballio lucente e mercuriato evocato con esaltato lirismo proprio dall’uomo dell’autobrennero al passaggio del fiume Adige. Suggestive coincidenze. Un ultimo viaggio, quello di Luca Vitone, in cui, com’è stato giustamente osservato, si può vedere al contempo l’espansione e la celebrazione di un ricordo privato ma anche la memorializzazione di un’epoca vicina e lontanissima. Parole che risuonano ancora una volta impressionantemente vicine al mondo di Autobahn: a riprova del fatto che, più che una contaminazione, questa fra l’opera di Vitone e il nostro allestimento del racconto di Tondelli ha il sapore quasi di un ricongiungimento, uno di quelli, forse, così improbabili da risultare tanto più preziosi quelle rare volte in cui si realizzano.
La mostra al PAC, a cura di Luca Lo Pinto e Diego Sileo, attraversa trent’anni di carriera artistica di Luca Vitone (Genova, 1964), riunendo per la prima volta i suoi progetti più significativi. Modulandosi sull’architettura dello spazio, l’allestimento si articola nelle diverse sale, ciascuna dedicata a uno specifico corpo di opere installate nella loro versione originale.
Pensando l’intera mostra come un medium, Vitone trasforma infatti lo spazio fisico dell’istituzione in un’opera che funziona come un palinsesto attraverso il quale mostrare i suoi lavori, tra i quali l’autobiografico Ultimo viaggio (2005), parte della sezione “Monumenti”, che racconta il viaggio da Genova al Golfo Persico percorso da Vitone con la famiglia nell’estate del 1977.
Mario Sala è attore conosciuto al pubblico milanese soprattutto per la lunga militanza sulle scene del teatro Out Off, dove proprio con Lorenzo Loris ha intrapreso un percorso sulla drammaturgia del Novecento (da Vian a Bond, da Miller a Beckett, da Dürrenmatt a Pinter), incrociando negli ultimi anni sempre più spesso anche opere letterarie di primissimo piano come, in tempi recenti, La cognizione del dolore di Carlo Emilio Gadda. Proprio all’interno di questo studio sulle potenzialità drammaturgiche della lingua letteraria si inscrive l’interesse per la narrativa di Pier Vittorio Tondelli. Autobahn è un esperimento nuovissimo su un testo mai ancora messo in scena.
Lorenzo Loris è da trent’anni il regista stabile del Teatro Out Off di Milano. Nella sua lunga attività ha realizzato un originale percorso attraverso la drammaturgia contemporanea e del Novecento: da Boris Vian a Tennessee Williams, a Joe Orton e Lars Noren, da Thomas Bernhard a Bertolt Brecht per arrivare ai contemporanei, tra i quali, Peter Asmussen, scrittore danese e sceneggiatore di Lars Von Trier, Edward Bond (Premio Ubu 2005), Rodrigo Garcia.
Loris ha lavorato molto anche sulla drammaturgia italiana mettendo in scena testi di nuovi autori (Roberto Traverso, Massimo Bavastro, Edoardo Erba, Gigi Gherzi, Renato Gabrielli).
Negli ultimi anni Lorenzo Loris ha sviluppato un confronto sempre più serrato con i massimi esponenti del ‘900 (Jean Genet, Samuel Beckett, Arthur Miller, Harold Pinter, Jean-Luc Lagarce, Raffaello Baldini, Giovanni Testori, Carlo Emilio Gadda, Pier Paolo Pasolini, Italo Calvino). Questo confronto lo ha portato ad affrontare i grandi autori del passato (Maurice Maeterlinck, Henrik Ibsen, Marivaux, Carlo Goldoni, Shakespeare, Dostoevskij) con un bagaglio di esperienze tali da permettergli un lavoro approfondito e rigoroso sul testo, con l’obiettivo di mettere in sintonia le parole dell’autore con la nostra contemporaneità. Nel 2011 ha vinto il Premio ANCT – Associazione Nazionale dei Critici di Teatro, in particolare per il suo accurato e fine complesso di messinscene pinteriane.
Foto Luca Del Pia
Pac Padiglione d’Arte Contemporanea
La storia del PAC incomincia nel 1947 quando il Comune di Milano, in cerca di un nuovo spazio per le collezioni delle Civiche Raccolte del XX secolo, individua le ex-scuderie della Villa Reale, distrutte dai bombardamenti nel 1943. La Villa era già sede della Galleria d’Arte Moderna fin dal 1921, ma gli spazi erano insufficienti a ospitare l’arte più recente. Nel 1948 hanno inizio i lavori di ristrutturazione con il progetto firmato dall’architetto Ignazio Gardella.
Dopo un lungo periodo di chiusura per nuovi restauri, nel 1979 il PAC riapre abbandonando definitivamente il ruolo di museo a favore di mostre temporanee, strumenti di ricerca sull’arte del XX secolo e sulle nuove sperimentazioni, con l’obiettivo di acquisire nuove opere d’arte per completare le collezioni civiche.