Daemon

con Enrico Casagrande e Alexia Sarantopoulou
regia e drammaturgia Daniela Nicolò ed Enrico Casagrande
luci e video Daniela Nicolò, in collaborazione con Eduard Papescu
musiche Demetrio Cecchitelli, Jessica Moss, Deli girls
fonica Martina Ciavatta
produzione Francesca Raimondi
organizzazione e logistica Shaila Chenet e Matilde Morri
promozione Ilaria Depari
comunicazione Dea Vodopi
distribuzione internazionale Lisa Gilardino
una produzione Motus in collaborazione con Rimi/Imir-Scenkunst, Norway
con il supporto di Basso Profilo nell’ambito del progetto Support Strucutres
martedì 20 maggio
BASE – via Bergognone 34, Milano
“Io ero benevolo e buono; l’infelicità ha fatto di me un demonio.”
(Frankenstein, Mary Shelley 1818)
Sinossi e note di regia
DAEMON è un preludio al secondo movimento (filmico) Frankenstein (a History of Hate) che debutterà nell’autunno 2025 a Roma Europa.
DAEMON è uno dei tanti termini negativi con cui Mary Shelley chiama la creatura romanzo: Miserable monster – Demoniacal corpse – Hideus – Ugly – Devil – Vile insect – Daemon – Abhorred Monster – Wretched devil- Detested form – Odious companion – Poor, helpless, miserable wretch – Miserable, unhappy wretch – Hideous monster – Ugly wretch – Fiend – My fiendish enemy – Miserable fiend – Scoffing devil – Tremendous being – Hypocritical fiend…
Nel periodo storico in cui è stato scritto il mostro non è mostruoso perché orrendo o pericoloso, ma terrorizza perché è l’imprevisto, l’inatteso, l’impensabile: è strano, weird…
WEIRD viene dall’antico nordico URTH che significa intrecciato, in loop come l’avvolgimento della spola del destino. Ma l’aggettivo weird può significare anche casual, (casuale)… In questo senso weird è connesso a worth (volere) inteso non come sostantivo, ma come verbo, un verbo che ha a che fare con il divenire e le trasformazioni (…) Nel significato di STRANO significa anche una svolta inaspettata,
dall’aspetto strano… Il termine strano è attraversato da un oscuro sentiero tra causalità e dimensione estetica, tra FARE e APPARIRE. (da Timothy Morton, “Ecologia oscura”). Nel romanzo – e nel primo movimento del nostro dittico, Frankenstein (a love story) – la creatura fugge dal laboratorio di Frankenstein e si nasconde nella solitudine delle Alpi dove, attraverso l’osservazione furtiva di una famiglia di rifugiati, acquisisce progressivamente la conoscenza del linguaggio, della letteratura e delle convenzioni della società europea. In un primo momento si innamora teneramente degli umani e della natura… poi comincia a comprendere vagamente la propria condizione: «Non avevo ancora incontrato un essere umano che mi rassomigliasse o rivendicasse un qualche rapporto con me. Cosa significava questo? Chi ero? Che cosa ero? Da dove venivo? Qual era la mia destinazione? Queste domande ritornavano continuamente, ma non ero in grado di dar loro una risposta». Poi, nella tasca della giacca, che aveva preso con sé fuggendo dal laboratorio, il mostro trova il diario di Victor Frankenstein, e apprende i particolari della sua creazione: «Stavo male mentre leggevo. L’accresciuta conoscenza non faceva ora che mostrarmi più chiaramente che infelice reietto io fossi».
Dopo aver appreso la propria storia e sperimentato il rifiuto di tutti quelli di cui aveva cercato la compagnia, la vita della creatura prende una piega oscura. «I miei sentimenti erano solo di rabbia e di vendetta», dichiara il mostro.
«Io, come l’arcidiavolo, portavo dentro l’inferno».
Il mostro sarebbe felice di poter distruggere l’intera Natura, ma si risolve, infine, per un piano più vantaggioso: eliminare sistematicamente tutti quelli che Victor Frankenstein ama…
Da questa mutazione dei sentimenti nella creatura siamo partiti con DAEMON, immaginando la performance come una allucinazione/incubo partorito dalla mente Mary Shelley, una giovane che fa
«castelli in aria», sogna ad occhi aperti, ha una immaginazione abnorme, mostruosa. (Ha scritto il romanzo Frankenstein quando aveva soli 19 anni!)
E’ descritta dai familiari come una ragazza con sempre “la testa tra le nuvole”… L’abbiamo immaginata aggirarsi fra boschi e nebbie, quando inizia ad avere visioni… Mary /Alexia Sarantopoulou vede questa strana creatura muoversi veloce, apparire e scomparire, inafferrabile, metà uomo, metà animale… Sono allucinazioni dovute al clima umido e alla pioggia incessante? Immagini scaturite dai riflessi delle acque?
Chissà…
Forse si può trattare di maladaptive daydreaming (in italiano “sogni ad occhi aperti disadattivi”) noto anche come disturbo da fantasia compulsiva: è una forma disordinata di assorbimento dissociativo
connesso a un’attività di fantasia vivida ed eccessiva.
O forse si tratta semplicemente del cervello che si riprende il diritto e il tempo di Fantasticare, di lasciarsi andare a divagazioni, a catene di associazioni e Hypnagogic hallucinations (Marie-Helene Huet, Monstrous Imagination, 1993) a momenti di transizione fra la veglia e il sonno.
Sara De Simone parla dello stato di dormiveglia in cui Shelley concepisce il mostro: «la consuetudine dei waking dreams è qualcosa di più […] Assentarsi per scivolare in una realtà seconda, immaginifica, figurata, un doppiofondo dove Mary può calarsi, proprio come il suo pallido scienziato, per raccogliere ossa e resti dalle cripte, e trasformarli in qualcosa di spaventoso, e di straordinario, e di vivo».
Questa performance da corpo a questa prima allucinazione, ma racconta anche del momento, di quel terribile click che fa convertire l’amore in odio, la benevolenza in violenza; di quell’inceppo del
meccanismo amoroso che provoca un ribaltamento dalle conseguenze irreversibili. E’ focalizzata infatti sul “divenir cattivo” della creatura: su come un essere senza identità, senza storia, solo come un cervo,
inseguito, fa mondo a sé e si ribella.
Come la creatura, DAEMON in realtà afferma il valore della mostruosità: le domande miltoniane che Shelley pone in epigrafe del suo romanzo: «Ti ho chiesto io, creatore, dalla creta / di farmi uomo?
Ti ho sollecitato io / a trarmi dall’oscurità?»
Con una sola voce, rispondiamo: «No», senza svilirci, perché abbiamo accettato il duro lavoro di ricostruirci secondo le nostre condizioni e anche contro l’ordine naturale, come tutta la comunità queer invita a essere, “alleat* del caos e dell’oscurità da cui sgorga la Natura”.
Lo diciamo con le parole di Susan Stryker (autrice, filmmaker, e teorica di gender studies e transgenderism) da My Words to Victor Frankenstein Above the Village of Chamounix: Performing Transgender Rage che chiudono la performance:
In questo luogo senza linguaggio.
La mia rabbia è un delirio silenzioso.
La rabbia
Alla fine mi rigetta indietro
In questa realtà mondana
In questa carne trasfigurata
Che mi allinea con la forza del mio Essere.
Nel partorire la mia rabbia,
La mia rabbia mi ha fatta rinascere.
con il patrocinio di Fondazione Cariplo

in collaborazione con BASE Milano